Il Castello

Ultima modifica 20 febbraio 2018

Il Castello di Gaglianico è certamente il più interessante e il meglio conservato fra tutti quelli del Biellese e, come tale, è stato varie volte oggetto di studio sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista architettonico.

Le prime notizie storiche relative a Gaglianico risalgono al X secolo. Il luogo viene infatti ricordato nel diploma del 22 ottobre del 988, col quale l'imperatore Ottone III conferma a Manfredo, figlio del conte di Vercelli Aimone, le precedenti donazioni imperiali. Trattandosi di un atto di conferma, dovremmo supporre una precedente donazione, della quale non si ha tuttavia notizia. Pochi anni dopo, nel 999, il paese risulta nuovamente nominato fra i luoghi donati dall'imperatore Ottone III al vescovo di Vercelli Leone con diploma del 7 maggio di quell'anno. Da questo momento, le conferme di Gaglianico alla chiesa vercellese si fanno sempre più frequenti, poiché il luogo continua ad essere menzionato in un nuovo diploma di Ottone III del 1° novembre dell'anno 1000 e in quelli di Corrado II e di Federico I, rispettivamente del 7 aprile 1027 e del 17 ottobre 1152.

Quanto all'origine del toponimo, l'ipotesi oggi ritenuta più probabile è quella secondo la quale esso deriverebbe dal personale romano Gallianus, anche se non sono mancati in passato, specialmente fra gli eruditi locali, studiosi che hanno proposto una derivazione celtica senza però riuscire a dimostrarla in modo convincente.

Come si è visto poc'anzi, all'inizio dell'XI secolo Gaglianico passò alla chiesa di Vercelli. A questa, pur con successive infeudazioni a varie famiglie, il luogo rimase per oltre tre secoli, vale a dire sino all'episcopato di Giovanni Fieschi. Le notizie relative a Gaglianico nel periodo compreso fra la seconda metà del XII secolo e i primi decenni del XIV sono piuttosto scarse e non è quindi possibile sapere con certezza quali furono, in quell'arco di tempo, le famiglie di volta in volta investite del luogo da parte dei vescovi di Vercelli. Tuttavia, se teniamo presente che dopo la dedizione di Biella ai Savoia (1379) Ibleto di Challant divenne, come meglio vedremo fra poco, monsignore di Gaglianico in seguito ad acquisto di parte del castello e del feudo dai de Tarditis e che, anche dopo tale acquisto, un'altra famiglia, quella dei della Torre, continuò ad essere investita del luogo, non sarà azzardato supporre che appunto i della Torre e i de Tarditis ne fossero in possesso già da lungo tempo. I nobili della Torre, oriundi di San Germano Vercellese, vengono nominati in documenti relativi a Gaglianico risalenti all'episcopato di Emanuele Fieschi (1343 -1348). Infatti, con atti dell'8 e del 12 luglio 1344, Michele della Torre, a nome suo, del fratello Giovanni e dei nipoti, raggiunge un accordo con Giacomo Gazia, rettore e ministro della chiesa di S. Pietro di Gaglianico, in una vertenza concernente le decime del luogo, mentre, con atto del 16 gennaio 1350 il vescovo Giovanni Fieschi rinnova a Giorgio del fu Guala e a Michele del fu Giacomo della Torre di San Germano l'investitura della decima del luogo, corte e territorio di Gaglianico. Non solo, ma i della Torre vengono ancora nominati come consignori del luogo in un atto del 12 dicembre 1393, insieme ad Ibleto di Challant e ai de Tarditis. Quest'ultimo documento risulta di particolare interesse poiché esso fa espresso riferimento ad altri due atti, rispettivamente del 10 novembre 1390 e del 28 ottobre 1391, coi quali il Challant aveva acquistato porzioni di Gaglianico dai de Tarditis. I motivi di questo acquisto da parte di Ibleto, che negli anni precedenti, allorché i biellesi si erano ribellati al vescovo Giovanni Fieschi, molto si era adoperato per ottenere la dedizione di Biella ai Savoia vanno probabilmente ricercati nella necessità di assicurare al nuovo regime il controllo di un fortilizio certamente importante dal punto di vista strategico, in quanto posto alle porte della città.

Quanto al nobili de Tarditis, costoro, al pari dei della Torre, erano ancora consignori di Gaglianico dopo la dedizione di Biella ad Amedeo VI di Savoia, dal momento che essi compaiono nell'atto già citato del 12 dicembre 1393, col quale alcuni membri della famiglia, ossia Giovanni del fu Giacomo, Giacobino del fu Franzone ed Antonio del fu Guglielmino, col consenso degli altri consignori dei luogo, ossia di Antonio della Torre e di Ibleto di Challant, cedono le loro rimanenti porzioni castri, turris, recepti... de Galianico e i loro diritti di decima e di patronato sulla locale chiesa di S. Pietro ad Antonio del fu Giovannino de Leria di Biella, cittadino vercellese. È interessante, a questo punto, osservare che Giovanni, uno dei tre de Tarditis che vendettero i beni di loro spettanza ad Antonio de Leria nel 1393, era stato proprio in quell'anno accusato di tradimento dalla credenza di Biella per i suoi rapporti con i Visconti, cosicché egli era stato escluso in perpetuo da tutti gli onori e le cariche. Come ricorda la Trossi-Sella, costui, essendo stato messo al bando dal conte di Savoia, «si allontanò... da Biella e cercò rifugio sotto il dominio visconteo a Vercelli». È appunto in questa vicenda che andrebbero ricercate, secondo la studiosa, le ragioni della cessione al de Leria della porzione del castello e del luogo di Gaglianico già spettante ai de Tarditis.

I de Leria non dovettero mantenere a lungo il possesso della parte acquistata nel 1393, poiché, qualche anno dopo, Ibleto di Challant e i della Torre risultano gli unici possessori del castello e del luogo. Con ogni probabilità, Ibleto aveva nel frattempo acquistato la parte spettante ai de Leria, poiché, da un atto del 12 settembre 1404, col quale furono composte alcune vertenze con Bertolino della Torre circa il castello, le decime e il mulino di Gaglianico, apprendiamo che un terzo dei beni in questione venne allora riconosciuto al della Torre e due terzi ad Ibleto di Challant. Alla morte di quest'ultimo, avvenuta nel 1410, scoppiarono nuovi contrasti fra suo figlio Giovanni e Bertolino della Torre, in seguito ai quali il Challant cacciò il rivale dal castello di Gaglianico. Successivamente, avendo accolto il ricorso del della Torre per rientrare in possesso della propria parte, il 23 maggio 1411 Amedeo VIII di Savoia ordinava che Bertolino venisse reintegrato nel possesso dei suoi beni, ma l'ordine non poté essere eseguito perché Giovanni di Challant e gli uomini di Gaglianico asserivano che il della Torre e suo figlio avevano fatto irruzione nel luogo uccidendo un abitante e arrecando vari danni. Nell'ottobre dello stesso anno, Amedeo VIII incaricava allora Enrico di Colombier, capitano generale del Piemonte, di dirimere la controversia, risolta la quale Bertolino della Torre poté essere definitivamente reintegrato nel possesso della sua porzione del castello e del luogo di Gaglianico. Con atto del 12 marzo 1425, i della Torre cedevano tuttavia ogni loro spettanza a Pietro ed Antonio Bertodano di Biella, i quali, il 3 settembre 1425 il venivano pertanto investiti di un terzo di Gaglianico da Amedeo VIII. L'anno successivo, e precisamente il 6 luglio 1426, Giovanni di Challant ottenne dal fratello Francesco, protonotario apostolico, la cessione delle sue ragioni su Gaglianico, diventando così unico possessore delle porzioni spettanti ai Challant. Nel 1436 la figlia di Giovanni di Challant, Maria, sposava Bono d'Epine de Bellentre di Tarantasia, portandogli in dote il feudo di Gaglianico, del quale costui veniva investito con atto del 25 giugno 1439. Successivamente, allorché Maria, rimasta vedova, nel 1459 passò ad altre nozze con Aimone Glasardi, consignore di Issogne in Val d'Aosta, i figli Guglielmo e Giovanni d'Epine de Bellentre, con atto del 4 gennaio 1459 vendettero le loro porzioni di Gaglianico a Stefano Scaglia di Biella, dottore di leggi e consigliere ducale per la somma di 3825 fiorini. Il documento poc'anzi citato, ricorda che i due fratelli d'Epine avevano dovuto vendere le loro parti del feudo allo Scaglia per soddisfare un debito di mille fiorini contratto dal loro padre Bono verso Aimone Glasardi, per restituire seicento fiorini di dote alla madre Maria di Challant e per costituire una dote di cinquecento fiorini a favore della sorella Guglielmetta, moglie di Angelo Glasardi. L'atto non specifica se quest'ultimo fosse un congiunto di Aimone Glasardi, ma la cosa è assai probabile.

A Stefano Scaglia succedette il figlio Ludovico, il quale, nel 1476, cedette ogni sua ragione al cugino Giacomo. Poco dopo costui, con atto del 13 gennaio 1479, dovendo soddisfare un debito di 1250 fiorini d'oro contratto col nobile Taddeo di Carlo, vendeva tuttavia la sua porzione del castello e del feudo di Gaglianico al nipote Sebastiano Ferrero, figlio di Besso e di sua sorella Comina, per la somma di 5000 fiorini e il 27 gennaio dello stesso anno, gli uomini di Gaglianico prestavano giuramento di fedeltà al nuovo signore.

Alla morte del Ferrero, avvenuta nel 1519, gli succedette il nipote Filiberto, figlio di Besso, in quanto quest'ultimo era premorto al padre Sebastiano. Adottato nel 1517 da Ludovico Fieschi, conte di Masserano Filiberto aggiungeva al proprio anche il cognome e le armi della famiglia Fieschi, riunendo così nelle proprie mani i numerosi e vasti possedimenti ereditati dall'avo Sebastiano Ferrero e dal padre adottivo Ludovico Fieschi.

Per un certo periodo, i Bertodano, che, come abbiamo visto, erano stati investiti di un terzo del feudo di Gaglianico nel 1425, in seguito ad acquisto dal della Torre, furono, con i Ferrero-Fieschi, consignori del luogo, ma già verso la metà del XVI secolo il loro nome non compare più in nessun documento relativo a Gaglianico. È dunque assai probabile che in quell'arco di tempo i Ferrero-Fieschi siano riusciti ad assicurarsi l'intero possesso del castello e del feudo, poiché da un atto del 1° novembre 1577, col quale il duca di Savoia unì i luoghi di Candelo, Gaglianico e Benna per erigere Candelo in contea a favore dei Ferrero-Fieschi, risulta che questi ultimi erano allora gli unici signori di Gaglianico. Il castello del luogo rimase al Ferrero-Fieschi ininterrottamente per oltre tre secoli, fino al 1833, anno in cui, in seguito alla morte di Carlo Ludovico, residente a Parigi, la famiglia si estinse. Erede dei beni di Gaglianico fu allora la sorella di Carlo Ludovico, Maria Carlotta, sposata in seconde nozze al marchese Aldonzio Carlo de Rafélis de Saint Sauveur, dalla quale essi passarono, successivamente, al figlio Edmondo de Rafélis de Saint Sauveur, finché il figlio di quest'ultimo, Paolo Alaria, con atto del 17 gennaio 1882, vendette il castello e l'annessa proprietà all'industriale biellese Carlo Menabrea.

Quanto alle vicende storiche di Gaglianico già si è visto come il luogo sia passato, all'inizio dell'XI secolo, alla signoria dei vescovi di Vercelli, i quali ne ricevettero conferma da vari imperatori. Assai poco è dato tuttavia sapere, a causa della scarsità dei documenti, della storia di Gaglianico fra la seconda metà del XII secolo e i primi decenni del XIV, ma è assai probabile che il paese, data l'estrema vicinanza a Biella, abbia allora avuto vicende non molto diverse da quelle del capoluogo, subendone in modo preponderante l'influenza. Basti pensare che allorché il vescovo di Vercelli Uguccione nel 1152 ottenne conferma dall'imperatore Federico I di tutti i possedimenti della chiesa vercellese, ivi compreso il luogo di Gaglianico, e, forte di questo riconoscimento, diede inizio nel 1160 alla fondazione del Piazzo di Biella, numerosi furono gli uomini di Gaglianico che concorsero a popolare il nuovo insediamento insieme a quelli di Ponderano, Occhieppo, Sandigliano e Chiavazza, tutti centri situati a breve distanza dalla Città, molti abitanti dei quali dovettero certamente essere spinti ad abbandonare i loro villaggi dalla prospettiva di migliori condizioni di vita fra le mura cittadine.

All'inizio del XIII secolo il comune di Vercelli, incoraggiato dal successi ottenuti altrove negli anni precedenti, è impegnato nel tentativo di affermare anche nel Biellese la propria giurisdizione su terre soggette alla signoria episcopale. Ne sono prova l'erezione di Magnano in borgo franco nel 1204 da parte della credenza vercellese e la guerra stessa che Vercelli mosse al vescovo Ugo di Sessa nel 1235, occupando alcuni luoghi sottoposti al dominio vescovile, ad esempio Andorno, Chiavazza, Sandigliano, e giungendo ad assediare la stessa Biella. È probabile che in quelle circostanze anche Gaglianico abbia sofferto danni da parte delle milizie vercellesi sicuramente presenti nel territorio di Sandigliano, località confinante con Gaglianico, e di Biella stessa, ma la mancanza di documenti non consente di formulare più che semplici ipotesi.

Al 29 aprile 1243 risale un atto col quale il comune di Vercelli, in seguito all'acquisto della giurisdizione vescovile dal legato pontificio Gregorio di Montelongo, nomina suoi procuratori incaricati di prendere possesso di Gaglianico e di altri luoghi del Biellese, ma, con ogni probabilità, tale atto dovette rimanere inoperante per la ferma opposizione del nuovo vescovo di Vercelli Martino Avogadro, il quale, non appena eletto alla cattedra eusebiana, rifiutò di ratificare la vendita della giurisdizione vescovile fatta dal Montelongo e si adoperò con ogni mezzo per recuperare alla chiesa vari luoghi e castelli, soprattutto nel Biellese, ove poteva maggiormente contare sull'aiuto militare degli Avogadro suoi congiunti. Data l'estrema vicinanza a Biella, città che fu sempre in mano ai vescovi vercellesi, spesso esuli nel loro castello del Piazzo durante le lunghe lotte fra guelfi e ghibellini vercellesi durate dal 1243 al 1335, Gaglianico continuò certamente a far parte della signoria episcopale.

Con l'avvento di Giovanni Fieschi alla cattedra eusebiana, i rapporti con il comune di Biella, che sotto i suoi predecessori erano stati generalmente buoni, divennero molto tesi a causa delle pesanti imposizioni fiscali e delle pretese del vescovo sulle eredità ab intestato, finché i contrasti culminarono in guerra aperta fra il comune e il Fieschi, che si era nel frattempo ritirato nel suo castello di Masserano nel timore di una rivolta popolare. Come è noto, Biella si sottomise allora alla signoria dell'arcivescovo Giovanni Visconti, signore di Milano, per scongiurare la minaccia di un ritorno del Fieschi, e i Visconti poterono così esercitare il loro dominio sulla città per circa un ventennio. Vari comuni biellesi dovettero a quel tempo seguire l'esempio di Biella, tant'è vero che al termine della guerra fra i Visconti e la lega anti-viscontea durata dal 1372 al 1376 non poche località della regione risultano ancora in possesso dei Visconti. Fra queste ritroviamo, ad esempio, Occhieppo, Chiavazza, Bioglio, Cossato e Gaglianico stessa, i cui rappresentanti, l'8 dicembre 1378 giurarono fedeltà a Gian Galeazzo Visconti. È significativo, a questo punto, ricordare che qualche tempo prima, nel gennaio del 1373, allorché il vescovo Giovanni Fieschi si era portato sotto le mura di Biella con l'esercito della lega anti-viscontea pronto ad assediare la città, fra i rappresentanti del comune che si recarono a trattare con lui dichiarando di essere pronti a resistere fino all'estremo, piuttosto che ritornare alle dure condizioni precedenti la dedizione ai Visconti, vi sia stato il console Guglielmo de Tarditis, uno dei consignori di Gaglianico. Ed altrettanto significativo è il fatto che un altro consignore di Gaglianico, Giovanni, anch'egli appartenente alla famiglia de Tarditis, fosse stato condannato al bando, nel 1393, sotto l'accusa di aver tramato con i Visconti, e costretto a vendere la sua parte del castello del luogo.

Dopo la dedizione di Biella ai Savoia nel 1379, anche Gaglianico dovette seguirne ben presto l'esempio, poiché, come abbiamo visto, parte del castello del luogo già nel 1390 risulta in possesso di Ibleto di Challant, fedelissimo di Amedeo VI e artefice principale della dedizione di Biella al conte sabaudo. A proposito poi di questo castello, dobbiamo osservare che non si possiedono documenti che ne menzionino l'esistenza prima del 1390, poiché tutti gli atti che si riferiscono a Gaglianico precedentemente a tale data si limitano a ricordare il luogo, ma non il castello. Ciò potrebbe indicare che esso sia stato edificato piuttosto tardi o che anteriormente al 1390 non rivestisse ancora una grande importanza dal punto di vista dell'efficienza bellica. Il Roccavilla afferma che il luogo di Gaglianico fu «ridotto a fortezza nel 1338», ma non cita la fonte di questa notizia. Ad ogni modo, però, anche questo studioso pare propenso ad assegnare al fortilizio origini non anteriori al XIV secolo, fatto che trova del resto riscontro nella sua menzione piuttosto tarda.

Tra la fine del XIV secolo e i primi anni del XV, Gaglianico risulta al centro di aspre lotte fra i Savoia, i Visconti, il marchese di Monferrato e le milizie di Facino Cane. Quest'ultimo, durante una delle sue frequenti scorrerie, nel 1403 occupò il castello del luogo, giungendo così a minacciare direttamente la stessa Biella. Per scongiurare questo pericolo, il biellese Pietro Bertodano, governatore di Ivrea, da lui poco prima valorosamente difesa durante un assedio delle milizie faciniane, nello stesso anno 1403 mosse su Gaglianico al comando di truppe sabaude e riuscì ad espugnare il castello, cacciandone definitivamente le soldatesche di Facino. Nel corso degli aspri combattimenti cadde il figlio primogenito di Pietro Bertodano, Ludovico, il quale, secondo la Trossi-Sella, è raffigurato ferito a morte, con l'elmo abbandonato e il capo appoggiato sul grembo della madre, in un affresco scoperto «nel sottoportico del castello a destra del cancello che immette nel giardino ad ovest». L'ipotesi sarebbe avvalorata dal fatto che un altro affresco rappresenta la difesa di Ivrea e del suo castello.

Dopo la presa del castello di Gaglianico da parte del Bertodano, esso non risulta più al centro di altri eventi bellici per tutto il corso del XV secolo e possiamo dunque ritenere che il luogo, definitivamente assicurato allo stato sabaudo ed infeudato a famiglie ligie ai Savoia, quali i Challant, i Bertodano e gli Scaglia, abbia potuto godere di un lungo periodo di relativa tranquillità, nonostante i vari avvicendamenti nel possesso del feudo dei quali già ci siamo occupati.

Sotto la signoria degli Scaglia, iniziata nel 1459, gli uomini di Gaglianico ottennero alcuni privilegi degni di nota, che essi sempre difesero tenacemente. Dal giuramento di fedeltà prestato il 30 marzo 1459 dagli uomini del luogo a Stefano Scaglia, apprendiamo infatti che costui li dispensò da ogni obbligo concernente la manutenzione del castello e del fossato e dall'onere di far la guardia al fortilizio, sia di giorno che di notte, salvo nel caso di minaccia nemica al paese. Inoltre, gli uomini di Gaglianico furono esentati dal provvedere il vitto e il salario al guardiani delle torri, che, d'ora in poi, sarebbero stati a carico del signore. Lo stesso atto poc'anzi ricordato ci informa che la comunità di Gaglianico era allora tenuta al pagamento di un focaggio annuo di undici fiorini e mezzo.

Al tempo di Sebastiano Ferrero, che fu signore del luogo dal 1479 al 1519, anno della sua morte, Gaglianico subì importanti trasformazioni. A lui il castello deve la sua ricostruzione definitiva, la cui esecuzione, come meglio vedremo più avanti, venne affidata a Charles d'Amboise. Contemporaneamente alla ricostruzione del castello, il Ferrero apportò migliorie ai propri fondi di Gaglianico mediante l'apertura di nuovi canali per una più razionale distribuzione delle acque e il dissodamento e la messa a coltura di terre un tempo incolte, migliorie che diedero nuovo impulso all'agricoltura.

Nel XVI secolo la storia del castello e del luogo di Gaglianico si fa densa di drammatici avvenimenti, tradimenti e intrighi. Tutto ciò avvenne durante il dominio dell'ambizioso Filiberto Ferrero-Fieschi, il quale arrecò non poco turbamento al Biellese durante le guerre tra Francia e Spagna combattute in Piemonte. Particolarmente grave fu il comportamento del Ferrero-Fieschi nel 1553, allorché agevolò il maresciallo francese Brissac nella conquista del Biellese, sperando di ottenere dalla Francia vantaggi territoriali e finanziari. Il patto segreto concluso con i francesi prevedeva, fra l'altro, l'obbligo di fortificare con bastioni Gaglianico (impegno che costò ai biellesi ben 12.512 fiorini) e la consegna di vari castelli del Ferrero-Fieschi, che sarebbero stati presidiati da milizie francesi. Di lì a poco, però, Filiberto, non essendo riuscito ad ottenere dalla Francia i vantaggi sperati, avviò segrete trattative con il duca di Savoia e gli spagnoli. Scoperta la trama, nel novembre del 1556 il generale de la Barthe mosse su Gaglianico con trecento archibugieri per arrestare il Ferrero-Fieschi e occupare il castello. Secondo Boyvin du Villars, testimone oculare dei fatti, il de la Barthe fece appostare i suoi uomini attorno al fortilizio e, con alcuni ufficiali, si presentò al signore di Gaglianico fingendo di essere venuto a fargli visita. Filiberto lo intrattenne a banchetto, ma, al levar delle mense, fu arrestato con suo figlio Besso. I francesi pretesero poi la consegna immediata dei castelli di Gaglianico e di Zumaglia, dopo di che il Ferrero-Fieschi poté ritirarsi a Masserano. Impadronitosi di Gaglianico, il maresciallo Brissac ordinò che fossero rapidamente ultimate le fortificazioni sotto la direzione dell'architetto militare Andrea da Pezzetto, fortificazioni che costarono ai biellesi ingenti somme e agli uomini di Gaglianico la costruzione di un bastione di terra lungo 800 trabucchi. Dopo la battaglia di S. Quintino, vinta dagli spagnoli al comando di Emanuele Filiberto di Savoia, la situazione militare volse però ben presto a favore della Spagna anche in Piemonte e nel 1558 le truppe del Brissac furono costrette ad abbandonare Gaglianico sotto la pressione dell'armata del Figueroa. Occupato il castello, la sua custodia venne affidata al capitano spagnolo Adrián de Garro, il quale il 14 agosto 1559 lo consegnava ad Antonio Vialardi di Sandigliano, incaricato di prenderne possesso per ordine del luogotenente generale del duca di Savoia, Amedeo Valperga di Masino, in esecuzione della pace di Cateau-Cambrésis. Nel novembre dello stesso anno Filiberto Ferrero-Fieschi poteva ritornare a Gaglianico, ove moriva poco dopo. Gli succedeva il figlio Besso, al quale il duca di Savoia ordinò di smantellare le difese del castello di Gaglianico, affinché non potessero mai più servire ad alcun nemico in caso di occupazione. La demolizione delle fortificazioni fu tuttavia eseguita con molta lentezza, poiché, in seguito alla resistenza passiva dei Ferrero-Fieschi, essa venne ultimata soltanto nel 1592. Da un documento del 9 novembre di quell'anno, risulta che lo smantellamento del forte di Gaglianico consistette «in far tirare i parapetti e controscarpe nel fosso, spianare le cortine, piatte forme, baloardi e tutte quelle fortificazioni che a detto luogo fecero ultimamente i francesi, lasciando il resto in piedi sino a nuovo ordine di S.A.». Fortunatamente, però, le parti più antiche del castello, non rivestendo grande importanza a fini bellici, furono conservate. Lo smantellamento della fortezza, risparmiò a Gaglianico i duri sacrifici che dovettero invece sopportare Masserano e Crevacuore, pure feudi dei Ferrero-Fieschi, nel secolo successivo. Infatti, mentre nel 1617 il principato di Masserano fu invaso dalle truppe di Carlo Emanuele I di Savoia per impedire che il principe Francesco Filiberto consegnasse quei castelli agli spagnoli, gli abitanti di Gaglianico poterono continuare a vivere pacificamente pur fra le ristrettezze imposte dalla guerra in corso fra il duca di Savoia e la Spagna.

Durante la guerra civile fra «principisti» e «madamisti», il castello di Gaglianico, trovandosi alle porte di Biella e controllando le vie di accesso da Vercelli e da Torino, assunse nuovamente una certa importanza. Infatti, il principe Tommaso di Savoia, con ordinanza del 5 ottobre 1641 emanata dal castello di Roppolo, ove egli aveva posto il suo quartier generale, ingiunse al governatore e a molte comunità della provincia di Biella di fortificare il castello di Gaglianico «per ovviare le scorrerie del nemico nel Biellese e... introdurli prontamente quella guarnigione che sarà necessaria». Dopo queste vicende, il fortilizio non fu più al centro di altri avvenimenti bellici e già nella seconda metà del XVII secolo venne ridotto a semplice residenza signorile. I suoi sotterranei e le sue casematte, in seguito ad una convenzione stipulata nel 1668 col duca di Savoia, dal quale i Ferrero-Fieschi ricevevano investiture per Gaglianico e numerosi altri feudi biellesi, furono trasformati in carceri per rinchiudervi i condannati del turbolento principato di Masserano. Alcune scritte graffite sui muri del sotterraneo ricordano tuttora la prigionia di quegli infelici.

Lo splendido maniero è oggi proprietà dei conti Trossi, che lo acquistarono nel 1914 dalla «Società di Avicoltura», alla quale era stato venduto tre anni prima dai Menabrea. Dopo tale acquisto, esso fu sottoposto a lunghi e delicati interventi di restauro, grazie ai quali l'antico fortilizio è oggi il meglio conservato del Biellese. Il Conti individua in esso due distinti momenti di costruzione: «la torre interna, oggi di spigolo ad uno dei torrioni angolari, che fu probabilmente il primo nucleo fortificato, ... e la fabbrica del d'Amboise, a impianto quadrilatero, con quattro torri angolari che sporgono quasi totalmente dalle cortine, più una torre sull'ingresso, più alta ma più piccola delle altre». Il castello primitivo dovette svilupparsi attorno alla torre più antica, la quale, ancora nell'atto del 12 dicembre 1393 con cui i de Tarditis cedettero ad Antonio de Leria le loro parti del fortilizio, viene più volte ricordata come elemento fondamentale delle opere difensive di Gaglianico. Il documento, che risulta estremamente preciso nella descrizione dei beni venduti dai de Tarditis e nella determinazione delle loro coerenze, non accenna, infatti, all'esistenza di altre torri, lasciando chiaramente intendere che essa fosse allora l'unica del castello. Quest'ultimo doveva quindi essere probabilmente costituito da un recinto in muratura attorno alla torre primitiva, ancora piuttosto semplice e privo di torri angolari. L'atto ricorda, inoltre, l'esistenza di un ricetto annesso al castrum, ricetto che, secondo la Trossi-Sella, era più antico del castello e ne costituiva «l'antecedente storico». Non solo, ma la studiosa, seguendo l'opinione del Pozzo, il quale scrisse che il paese venne munito di fortificazioni «prima del 1370 ... dagli uomini di Gaglianico sotto il protettorato del vescovo di Vercelli», aggiunge che il suddetto ricetto rientrava «nel sistema degli apprestamenti bellici d'origine popolaresca della regione». Queste ipotesi ci lasciano tuttavia piuttosto scettici per vari motivi. Anzitutto, non si possiede nessun documento che ricordi l'esistenza di un ricetto in Gaglianico anteriore al castrum. In secondo luogo tutte le testimonianze più antiche concernenti tale ricetto, sempre lo citano come stretta pertinenza del castello signorile, tant'è vero che gli atti che si riferiscono a vendite di porzioni del castello da parte dei signori di Gaglianico sempre contemplano, con quelle del castello, la cessione delle rispettive quote parti del ricetto. Ciò appare, in modo inequivocabile, sia dall'atto della vendita fatta dai de Tarditis ad Antonio de Leria nel 1393, che da quello del 4 gennaio 1459, col quale Guglielmo e Giovanni d'Epine cedettero le loro porzioni del castello a Stefano Scaglia. Il primo di questi due documenti ricorda infatti la vendita al de Leria de omnibus partibus castri, turrìs, recenti... de Galianico spettanti ai de Tarditis, mentre il secondo è ancora più esplicito nel ricordare che lo Scaglia acquistò il castrum cum recepto espressione, questa, che lascia chiaramente intendere che il ricetto di Gaglianico era una semplice dipendenza del castello signorile e, come tale, apparteneva ai signori del luogo. Infine, e ciò conferma ulteriormente quanto poc'anzi affermato, il documento del 1459 dice testualmente che gli uomini di Gaglianico pagavano un affitto di dieci capponi all'anno super recepto quem solvere consueverunt dicto castro eiusdem loci, cioè ai signori del luogo. Quest'ultima precisazione, che non compare nel documento del 1393, potrebbe indicare che nel frattempo fosse intervenuto un accordo fra i domini e gli homines di Gaglianico in base al quale i primi si erano riservati la proprietà del ricetto, consentendone tuttavia l'uso ai secondi mediante il pagamento di un modesto canone annuale.

Passato ai Challant, il castello di Gaglianico subì certamente trasformazioni e aggiunte, delle quali rimangono ancora tracce soprattutto in alcuni degli interni e nei motivi decorativi. Scrive al riguardo la Trossi-Sella che «le cornici in pietra delle tre finestre a crociera del grande salone a pian terreno di Gaglianico sono identiche a quelle di Verrès e di Issogne, uguali nella forma e nel materiale proveniente, di certo, dalla cava dei Challant in Valle d'Aosta», così come la decorazione a grandi strisce colorate che orna le pareti della camera all'angolo sud-est del castello di Gaglianico è molto simile a quella della camera del re di Francia ad Issogne. Pure simili risultano i soffitti a cassettoni con rilievi dipinti sul bordo dei piatti centrali, soffitti che, con gli stemmi dei Challant e dei de la Chambre dipinti nelle voltine interne delle aperture dei grande salone di Gaglianico, e più volte riprodotti anche ad Issogne, parrebbero confermare influenze stilistiche valdostane anteriori agli interventi dei d'Amboise.

Non solo, ma se teniamo presente che in occasione del giuramento di fedeltà prestato il 30 marzo 1459 a Stefano Scaglia, divenuto signore del luogo in seguito ad acquisto dai fratelli d'Epine, credi dei Challant, gli uomini di Gaglianico furono esentati dal provvedere il vitto ed il salario ai guardiani delle torri, dovremmo supporre che queste ultime fossero state aggiunte dai Challant alla costruzione originaria, in quanto il documento più volte citato del 1393 accenna alla esistenza di una sola torre nel castello.

La ricostruzione definitiva del fortilizio, che fu certamente la più vasta ed importante, avvenne, però, durante la signoria di Sebastiano Ferrero, il quale ne affidò l'esecuzione a Charles d'Amboise. Sopra un'architrave di serpentino nella parete verso il cortile, dal lato occidentale del castello, si legge l'iscrizione SEB. FERRERI, mentre un'altra lapide, murata nella parete del lato sud verso il cortile stesso, sotto il portico a fianco della cappella, ricorda l'opera del d'Amboise con queste parole: «Monseigneur de Chaumont Charles d'Amboise Grand Maistre de France m'a fondé. 1510». Si devono certamente all'opera di quest'ultimo gli evidenti caratteri transalpini riscontrabili nella costruzione, la quale risulta priva di merlatura e completamente dotata di apparato a sporgere su triplici beccatelli aggettanti, che il Conti definisce «un classico motivo alpino». Ma la parte in cui l'intervento del d'Amboise risulta più appariscente è l'armonico insieme del cortiletto interno, quadrato, con grandi arcate a fregi in cotto sovrastate da due ordini di logge, le cui sobrie linee architettoniche sottolineano un ambiente raccolto, ma ricco e suggestivo al tempo stesso. Gli archi del cortile sono in tutto sette poiché, al posto dell'ottavo, all'angolo sud-orientale, si trova invece la parete esterna della cappella. L'interno di questo piccolo oratorio conserva alcuni affreschi che dovrebbero risalire al periodo della ristrutturazione del castello operata dal d'Amboise, in quanto essi rivelano un'esecuzione più raffinata rispetto a quella degli affreschi del sottoportico. La Trossi-Sella ritiene che ad eseguirli sia stato un artista francese, «sia per la tecnica, che per la riproduzione fedele e minuta di due castelli francesi del d'Amboise: in special modo di quello d'Amboise, nel Loire e Chère, di fama mondiale».

Il parco, progettato dal celebre architetto e disegnatore di giardini francese André Le Nótre (1613-1700), fu completamente rifatto durante i restauri del castello eseguiti fra il 1933 e il 1935 dall'architetto Luigi Daneri. La planimetria disegnata dal Le Nótre fu ritrovata solo dopo la definitiva sistemazione di quegli anni, cosicché non fu possibile ricostruire il parco sul progetto originario.

Gli apprestamenti minori del fortilizio sono ormai scomparsi, ma è ancora visibile il fossato, il quale, secondo il Gabotto doveva fiancheggiare il muro dell'antico ricetto abbattuto per far posto al parco.

Tratto da: "Da Vercelli Da Biella Tutto intorno" edizioni Milvia, Torino, 1980
Testi originali di Luigi Avonto


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